inizio dei lavori

A21_1928_PRIMA_ZAPPATA_NELL_ORTONELa domenica in Albis (15 aprile 1928), vigilia dell’inizio dei lavori, dopo di aver procurato picconi, vanghe e badili, Don Orione, particolarmente contento, dà una Buona notte diversa ai chierici riuniti in Cappella:

“Domani, dunque, partirete di qui, anzi, partiremo di qui, perché, in testa, voglio esserci io a guidarvi e a farvi strada, almeno idealmente…

Partiremo di qui con gli strumenti del lavoro, con tutto quello che troverete utile e adatto al lavoro che vogliamo iniziare…

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Nessuno, penso, si vergognerà di attraversare la città con delle vanghe e delle zappe sulle spalle.

Non si va alla conquista della terra, ma a fare un santuario… Quindi niente rispetto umano! Se qualcuno dirà qualche cosa, ci sarò io in testa a riceverla, a farvi scudo, a difendervi da qualche parolina pungente, forse da qualche sorriso un po’ così… Non dobbiamo spaventarci per così poco! Dovremo fare ben altro per la Madonna!… Domani incomincia un’era, un’epoca nuova per la Piccola Opera: inizia quella che possiamo chiamare l’era mariana della Piccola Opera… Che grande cosa ci concede il Signore! Che grande onore e speciale merito ci concede la Madonna! Di costruirle un Santuario, un grande santuario – avete visto il disegno – degno certo dei più grandi di questi ultimi tempi.

Pensate questa sera, pensate d’ora in avanti che cosa vuol dire fare un Santuario”.

Il pomeriggio del giorno 16, nel cortile della Casa Madre, Don Orione dà gli ultimi avvertimenti ad un folto gruppo di Chierici: “Ricordate che siete il primo gruppo di Chierici che lavora al Santuario! Chi di voi è piemontese? Chi di voi è lombardo? Chi di voi è ligure?” e passa in rassegna tutte le regioni d’Italia: “Viva l’Italia”, grida al termine di quel geografico appello, “Andate con spirito di fede a iniziare il Santuario.

Verrà poi altra squadra a sostituirvi, l’ultima porterà a casa i ferri. Armi in spalla!” Alle quattro in punto un centinaio di giovani, chierici e sacerdoti di tutta Italia e anche di Polonia, bene inquadrati, con abito talare, con piccone, badile o vanga in spalla, imbocca la via Emilia e vanno a raggiungere il cantiere di S. Bernardino, tra i battimani dei presenti e di un fitto stuolo di popolo che spontaneamente si aduna al passaggio dei lavoratori della Madonna. A S. Bernardino, uno dopo l’altro entrano nella chiesetta, depongono sulla soglia in vista della bella statua della Madonna gli arnesi di lavoro, recitano un’Ave Maria intonata da Don Orione e si portano nel recinto dell’orto Marchese, dove Don Orione, recitata ancora un’Ave Maria dal più profondo del cuore, dà inizio ai lavori di scavo delle fondamenta, proprio là dove S. Bernardino ha predicato e cantato le lodi alla Madonna delle Grazie.

I chierici lavorano divisi in due squadre: i piccoli portano i mattoni dal luogo della prima pietra verso la chiesetta. I grandi eseguono lo scavo e caricano di terra i carretti dell’impresa Foglia. Don Orione lavora alacremente fin verso le sei di sera. Ognuno si dedica alla fatica in spirito di santa emulazione, quasi ad essere più caro di un altro. Paternamente Don Orione fissa le regole di questa santa gara: “Tutti mi sono cari; ma voi altri, che lavorate al santuario, e preparate la casa alla Madonna, mi siete carissimi e anche Don Sterpi che viene con voi, sarà un carissimo”. Si lavorerà di lena sotto la direzione del geometra Marino Cantù, del signor Paolo Pattarelli (poi deceduto) e del capomastro Michele Bianchi, venuto giusto in tempo da Buccinigo d’Erba (Como) a condurre per mano la perigliosa navigazione edile di un’opera così imponente. Il lavoro procede a squadre. Mentre una squadra lavora, l’altra è allo studio. Alla fine del turno ci si riposa studiando. Quando manca qualche insegnante, Don Orione va a fare scuola di latino e di italiano e, alla sera, scherzosamente controlla se, sulle mani dei suoi carissimi sono cresciuti i calli. Una ferrovia decauville (a piccolo scartamento usata nei cantieri), che passa sul terreno dei fratelli Massone, agevola il trasporto della terra che viene portata via dai soldati per opere di giardinaggio alla caserma Passalacqua e dal municipio per colmare una fossa presso la Piazza delle Erbe.