ECCIDIO DEL CASTELLO DI TORTONA: UN PRETE GENEROSO E CHIERICI ORIONINI PRONTI A TUTTO
27 febbraio 2025. È un appuntamento molto sentito a Tortona, vi partecipano le autorità civili e militari, rappresentanze dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, cittadini e molti giovani delle Scuole superiori di Tortona. Quest’anno c’ero anch’io per ricordare sacerdoti e chierici orionini che di quell’evento furono parte attiva.
Sulla collina del Castello di Tortona, vicino alla storica torre, c’è una stele che l’usura del tempo rende oggi meno facile da leggere, ma una volta all’anno è ornata da una corona di allora portata dal sindaco. È la stele che ricorda un fatto tra i più tristi della vita civile di Tortona: l’uccisione di dieci civili come rappresaglia per l’uccisione di due ufficiali tedeschi, avvenuta il 27 aprile del 1945. I pensieri di quella stele sono di un sacerdote che fu protagonista buono di quel freddo mattino di un febbraio ormai lontano.
Il sacerdote è Don Lorenzo Nicola, orionino di Cornale (Pavia), che riuscì a salire in questa valletta della morte per essere vicino e confortare quegli uomini inermi e spauriti di fronte alla morte per mano di altri uomini, fratelli, italiani e tedeschi. Lassù poi salirono una quindicina di chierici per compiere il pietoso ufficio di una frettolosa sepoltura che compiranno, poi, altre due volte, prima fuori del cimitero di Tortona e poi, al 6 aprile successivo. Un esercizio di misericordia che onorò l’abito che portavano.
Tutto cominciò alla domenica pomeriggio del 25 febbraio 1945, quando un gruppo di partigiani, assaltò e uccise due ufficiali tedeschi, Max Vogel e Schulz, presso il Castello di Tortona, mentre scendevano da Vho.
Per Don Nicola non erano due “nemici”, erano due uomini, li conosceva bene. Fu lui ad accompagnarli al cimitero di Alessandria.
Fu temuta e di fatto fu attuata una feroce rappresaglia. Presero 10 uomini qualunque dalle carceri di Casale Monferrato.
La mattina dunque del 27 febbraio, mentre andava da Paterno al collegio Dante Alighieri, vide una macchina e un camion blindato, scoperto, con sopra militari italiani, SS tedeschi e parecchi civili. Andavano ad eseguire la loro fucilazione vicino alla Torre del Castello. Lascio la parola a Don Nicola.
“Hanno avuto il prete?”, chiesi al poliziotto.
– No, non hanno avuto il prete, anzi non sapevano neanche di essere condotti alla morte: quando li trassero dalle carceri di Casale avevano detto loro che sarebbero andati a lavorare.
Corsi su, di corsa, alla salita più breve verso il Castello. Attorno al camion, come visto minuti prima, stanno i soldati con moschetti e mitra.
I dieci prigionieri stavano ancora sul camion.
“Sono il cappellano del Sammelagher”, dissi.
Mentre attendo quei dieci uomini mi dicono:
– Padre, non abbiamo fatto nulla, e ci ammazzano…
Uso parole di fede:
– Ragazzi, se gli uomini sono cattivi, voi sapete che il Signore è buono. Offrite questo sacrificio a Dio:: egli vi ama e perdona tutti.
E traccio su loro, con le parole, una larga benedizione con il segno della croce.
Un maresciallo tedesco è giunto vicino a me e dimena rabbiosamente un mitra e me lo preme allo stomaco gridando che quelli erano delinquenti e che io non ero corso ad assistere i loro due morti… Gli rispondo che non ho assistito i suoi, perché non lo seppi, ma quei due ufficiali tedeschi io li conoscevo bene e ripeto i loro nomi. Quello capisce e mi lascia.
Fanno scendere dal camion i dieci, che mi guardano. Passando, uno mi disse:
– “Padre, mi saluti mia madre. Le dica che non ho fatto niente di male.
– Un altro: “Padre, baci i miei figli!”. Lasciava cinque figli, tutti piccoli.
Tolgo dalla tasca il mio rosario e comincio a recitarlo. Vedono che prego per loro.
Li dispongono nella valletta: io grido agli altri italiani:
– Voltiamoci… non dobbiamo vedere cadere i nostri fratelli.
Ma una voce che con inspiegabile stoltezza, invita a gridare: Viva il duce, viva il fuhrer!
Faccio a tempo a benedirli ancora prima della morte. Mi hanno visto che li benedicevo. Poveri figli!
Mi affretto e scendo verso di loro, morti, passando davanti al plotone dei giustizieri: il fratricidio li fa vergognare. Io non li guardo: se ne accorgono e restano mortificati.
L’ufficiale italiano mi avvicina: Padre, il Signore ci perdonerà per quello che abbiamo fatto? Anzi, dovuto fare?
I tedeschi lasciarono ordine che i morti rimanessero là, in quello stato sino al giorno dopo, perché tutti i tortonesi vedessero! Tortona era shoccata!
Il 28, un ingegnere del municipio ha telefonato dicendo il Comune non trovava uomini per il triste incarico della sepoltura.
Allestiamo una squadra volante di quindici chierici, con pale e picconi. Don Venturelli è incaricato di guidarli e di raccogliere i dati dei dieci per poi eventualmente identificarli. Una preghiera e poi al lavoro.
L’indomani, ottenni il permesso dal comando tedesco di togliere quei poveretti dalla fossa provvisoria del Castello e ci è permesso di seppellirli, ma appena fuori dal cimitero. Di nuovo provvidero i preti e chierici.
Solo il 6 di aprile, le salme poterono essere finalmente raccolte, ancora dai nostri chierici per la terza volta, in casse di legno, e seppellite nella pace, nel campo 18 del cimitero.
Oscar Adenzato, Carlo Angelino, Valter Borra, Ezio Chiavon, Antonio Lanni, Vittorio Lucani, Mario Morselli, Giuseppe Sogno, Corrado Semenenga, Alfio Zanello.
“Chiudo con una supplica”, scrive nel suo Resoconto Don Lorenzo Nicola. “Valga il vostro sacrificio, o dieci fratelli del Castello di Tortona, ed il vostro, voi due figli della grande nazione tedesca, unita alla moltitudine di fratelli sacrificati su tutti i fronti d’Europa, a ottenere da Dio misericordia su questa povera umanità! Per il mondo nuovo, inizi l’era della pace in Dio!”.
È duro ricordare questi eventi ma ci ricordano che vita e morte, amore e odio, civiltà e barbarie continuano ad affrontarsi nella vita d’oggi? Da che parte ci mettiamo? Il nemico a 300 metri è un bersaglio, ma a tre metri è un uomo.
(fonte Facebook Don Flavio Peloso https://www.facebook.com/profile.php?id=100012779643077)